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La ricerca della salvezza come impegno
Raffaele Gavarro
“Ma là dove c’è il pericolo, cresce/Anche ciò che salva”.
Si tratta di uno dei versi più famosi di Friedrich Hölderlin, uno dei primi dell’inno Patmos al quale il poeta
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https://www.elementplus.it/standard/la-questione-ambientale-ispira-larte-contemporanea/
La ricerca della salvezza come impegno
Raffaele Gavarro
“Ma là dove c’è il pericolo, cresce/Anche ciò che salva”.
Si tratta di uno dei versi più famosi di Friedrich Hölderlin, uno dei primi dell’inno Patmos al quale il poeta aveva lavorato nell’inverno del 1802 su commissione del langravio Federico V di Homburg. Come forse è capitato a molti, ho incontrato questo verso nel corso della lettura di un testo di Martin Heidegger, La questione della tecnica del 1953, che il filosofo usò a sua volta quasi come un incipit della parte finale del suo riflettere sulla necessità di comprendere l’essenza della tecnica.
Ma perché inizio da qui, dal verso di un poeta a sua volta utilizzato da un filosofo, per ragionare del lavoro di Marco Angelini?
La prima ragione è che Patmos, il nome dell’isola greca che da il titolo all’inno, è il luogo dove l’evangelista Giovanni scrisse l’Apocalisse. Quando leggendo Hölderlin ne ho avuto conoscenza, ho inevitabilmente pensato a quanto quelle parole e il luogo e le ragioni che lo ispiravano erano a noi in una certa misura prossimi; ma anche a come il sentimento di speranza che ne traeva Heidegger, a proposito della tecnica, fosse per noi, ovviamente, possibile ricondurlo alla tecnologia del nostro presente.
Tutto il lavoro di Angelini è connesso sostanzialmente a questi elementi: da una parte la consapevolezza di essere giunti ad un confine, ad un momento appena precedente la catastrofe, e dall’altra di come proprio la tecnologia possa essere la salvezza; ma non da ultimo, e proprio seguendo il pensiero di Heidegger, di quanto l’arte possa essere la via per raggiungere quella stessa salvezza.
Anche se questo inizio appare, almeno in parte, come uno sbilanciamento poetico, l’intenzione è per la verità quanto mai razionale, e segue in tal senso la costruzione pittorica di Angelini. I suoi quadri sono infatti una messa a registro della necessaria complementarietà dell’analogico nel quale siamo, e che siamo, con quegli elementi altrettanto fisici che però derivano da una scienza, e relativa tecnologia, che stanno dando forma all’evoluzione digitale. Pittura e cellule fotovoltaiche si coniugano sulla tela costruendo una struttura visiva e di senso che si pretende come univoca, ma che soprattutto pretende da noi, dal nostro sguardo, una continuità tra l’una e gli altri, dichiarando la necessarietà di una nuova armonia tra natura e tecnologico.
La teoria dei tredici quadri che si srotola sotto i nostri sguardi definisce così un percorso mentale dettato da una logica tanto stringente quanto avvincente. Le forme geometriche inglobano e regolano i riquadri fotovoltaici, trovando da una parte un “fondamento mitologico”[1] nella pittura astratta del Novecento, con la conseguenza di rendere altrettanto “fondamento mitologico” la tecnologia fattasi parte coerente della narrazione. Ma la cosa davvero interessante e importante è che questa formalizzazione e le radici che ritrova nella storia come nel nostro presente, spingono inevitabilmente verso il futuro attraverso un doppio piano immaginativo ed etico. Se il primo, quello immaginativo, è da noi istintivamente raggiungibile attraverso la consueta assunzione del ruolo primario e ineludibile dell’arte; il secondo, quello etico, merita una riflessione più approfondita che ci aiuti ad assumere quello che è il ruolo dell’arte di un oggi che si fa immediatamente e continuativamente domani.
A questo proposito possiamo affermare con una certa sicurezza, che il modo con il quale l’arte assume un ruolo decisivo nel nostro vivere è quello di istituirsi nello spazio-tempo pubblico, collettivo, come un paradigma che ha la funzione irrevocabile di rintracciare il senso del tutto attraverso il sensibile, il sensoriale. Ovviamente è una condizione, uno stato, che è da sempre dell’arte. Ma la sua specificità attuale, diversamente da ieri, è quella di attivarsi nello spazio-tempo pubblico attraverso una condizione etica piuttosto che estetica. O per meglio dire, essa è attuata attraverso un’estetica, un darsi sensoriale, che ha una finalità irrevocabilmente etica.
Salvarsi attraverso l’arte significa riconoscerle, nel suo stesso costituirsi ed esporsi nello spazio-tempo pubblico, la funzione di un paradigma esemplare, un dispositivo da utilizzare per dare senso al quotidiano.
Nel lavoro di Marco Angelini questa tensione etica è costante, direi che è il suo impegno nel mondo, che aziona attraverso la coniugazione di elementi che se hanno un ovvio impatto visivo, si costituiscono nella sostanza di un’indicazione paradigmatica di una reciproca occorrenza.
La salvezza che Angelini ci indica come possibile è proprio in questa reciprocità, nella dimostrazione della necessità che le è implicita. La luce dei colori, le stesure geometriche, ma anche quelle zone in cui il colore si raggruma in episodi organici, trovano nel controcanto del nero delle superfici artificiali fotosensibili, il complemento concreto, l’esemplificazione del nostro stesso processo evolutivo.
Gli opposti trovano equilibrio e sintesi sulla superficie del quadro pacificando quelle stesse premesse problematiche dalle quali avevano preso le mosse. È quindi prima di tutto un lavoro critico, che separa e valuta gli elementi in gioco prima di restituirli in continuità.
A questo proposito mi torna in mente la frase conclusiva di un testo di Michel Foucault, Che cos’è l’Illuminismo?[2] del 1984, forse l’ultimo realizzato prima della sua morte. Com’è noto il testo del filosofo francese prendeva spunto da uno scritto di Immanuel Kant del 1784, ugualmente intitolato Was ist Aufklärung?, e si concludeva appunto con queste parole: “Non so se oggi si debba dire che il lavoro critico implica ancora la fede nell’Illuminismo; credo che comporti sempre il lavoro sui nostri limiti, vale a dire un travaglio paziente che dà forma all’impazienza della libertà.”
Com’è noto per Foucault la libertà è una condizione ontologica dell’etica e allo stesso tempo quest’ultima è la forma riflessa che assume la libertà. Ho sempre pensato che in questo indissolubile legame tra etica e libertà ci sia molto del senso, oltre che del ruolo, che l’arte ha assunto su di sé, e che oggi trova ulteriori ragioni nell’impegno a trovare la salvezza.
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La búsqueda de la salvación como compromiso
Texto de Raffaele Gavarro
"Donde está el peligro, crece también lo que salva ".
Es una de las líneas más famosas de Friedrich Hölderlin, una de las primeras del himno de Patmos en el que el poeta había trabajado en el invierno de 1802, por encargo del Landgrave Frederick V de Hesse-Homburg. Como quizás les haya pasado a muchos, encontré este verso mientras leía el texto de Martin Heidegger, La pregunta por la técnica de 1953, que el filósofo a su vez utilizó casi como apertura de la parte final de su reflexión sobre la necesidad de comprender la esencia de la técnica.
Pero, ¿por qué empiezo desde aquí, desde el verso de un poeta utilizado a su vez por un filósofo, para discutir la obra de Marco Angelini?
La primera razón es que Patmos, nombre de la isla griega que da título al himno, es el lugar donde el evangelista Juan escribió el Apocalipsis. Al leer Hölderlin me familiaricé con él, inevitablemente pensé en cómo esas palabras, el lugar y las razones que lo inspiraron resultaban cercanas; pero también cómo el sentimiento de esperanza que Heidegger extrajo de él, con respecto a la tecnología, fuese para nosotros obviamente posible extrapolar hasta la tecnología de nuestro tiempo.
Todo el trabajo de Angelini está sustancialmente ligado a estos elementos: por un lado, a la conciencia de haber llegado a una frontera, en un momento previo a la catástrofe y, por otro, de cómo la tecnología puede ser la salvación. Por último, pero no menos importante y siguiendo precisamente el pensamiento de Heidegger, de cuánto el arte puede ser el camino para alcanzar esa misma salvación.
Aunque este comienzo parezca, al menos en parte, un desequilibrio poético, la intención es en realidad muy racional y en este sentido sigue la construcción pictórica de Angelini. Sus pinturas son, de hecho, un registro de la necesaria complementariedad de lo analógico en lo que estamos, y lo que somos, con esos elementos igualmente físicos que, sin embargo, derivan de una ciencia y respectiva tecnología que están dando forma a la evolución digital. Pintura y células fotovoltaicas se conjugan sobre el lienzo, construyendo una estructura visual y de sentido que se pretende como unívoca, que sobre todo exige de nosotros, de nuestra mirada, una continuidad entre ellas, declarando la necesidad de una nueva armonía entre naturaleza y tecnología.
La teoría de las trece pinturas que se despliega ante nuestros ojos define así un viaje mental dictado por una lógica tan rigurosa como convincente. Las formas geométricas engloban y regulan los paneles fotovoltaicos, encontrando por un lado un "fundamento mitológico"[3] en la pintura abstracta del siglo XX, con la consecuencia de convertir en “fundamento mitológico” la tecnología que se convierte en parte coherente de la narrativa. Pero lo realmente interesante e importante es que esta formalización y las raíces que encuentra tanto en la historia como en nuestro presente, empujan inevitablemente hacia el futuro a través de un doble plano imaginativo y ético. Si el primero, el imaginativo, nos parece instintivamente alcanzable a través de la habitual asunción del rol primario e inevitable del arte; el segundo, el ético, merece una reflexión más profunda que nos ayude a asumir el papel del arte de hoy, que se hace inmediato y continuado mañana.
En este sentido, podemos afirmar con una cierta seguridad, que el modo con el que el arte asume un papel decisivo en nuestra vida es el de instituirse en el espacio-tiempo público, colectivo, como un paradigma que tiene la función irrevocable de encontrar el sentido del todo a través de lo sensible, lo sensorial. Evidentemente es una condición, un estado, que desde siempre ha pertenecido al arte. Pero su especificidad actual, a diferencia de ayer, es la de activarse en el espacio-tiempo público a través de una condición ética más que estética. O, mejor dicho, se implementa a través de una estética, un darse sensorial, que tiene un propósito irrevocablemente ético. Salvarse a través del arte significa reconocerle, en su misma constitución y exposición en el espacio-tiempo público, la función de un paradigma ejemplar, un dispositivo para dar sentido a la vida cotidiana.
En el trabajo de Marco Angelini esta tensión ética es constante, yo diría que es su compromiso con el mundo, que opera a través de la conjugación de elementos que, si tienen un evidente impacto visual, se constituyen en la sustancia de una indicación paradigmática de una ocurrencia mutua.
La salvación que Angelini nos indica como posible está precisamente en esta reciprocidad, en la demostración de la necesidad que le está implícita. La luz de los colores, los dibujos geométricos, pero también aquellas áreas en las que el color se agrupa en episodios orgánicos, encuentran en el contrapunto negro de las superficies artificiales fotosensibles, el complemento concreto, la ejemplificación de nuestro propio proceso evolutivo.
Los opuestos encuentran equilibrio y síntesis sobre la superficie del cuadro, pacificando esas mismas premisas problemáticas de las que partieron. Por tanto, se trata ante todo de un trabajo crítico, que separa y evalúa los elementos en juego antes de devolverlos de forma continua.
En este sentido, recuerdo la frase final de un texto de Michel Foucault, ¿Qué es la Ilustración? [4]de 1984, quizás el último realizado antes de su muerte. Como es bien sabido, el texto del filósofo francés se inspiró en un texto de Immanuel Kant de 1784, igualmente titulado ¿Was ist Aufklärung? y concluía con estas palabras: “No sé si hoy tenemos que decir que el trabajo crítico todavía implica
la fe en la Ilustración; creo que siempre implica trabajar en nuestros límites, es decir, un trabajo paciente que da forma a la impaciencia de la libertad”.
Como se le conoce a Foucault, la libertad es una condición ontológica de la ética y, al mismo tiempo, esta última es la forma reflejada que asume la libertad. Siempre he pensado que en este vínculo indisoluble entre ética y libertad haya mucho del sentido, así como del rol, que el arte ha asumido y que hoy encuentra más razones en el compromiso a encontrar la salvación.
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Poszukiwanie zbawienia jako powinność
Raffaele Gavarro
,,Lecz gdzie jest niebezpieczeństwo, wzrasta Także to, co ocala".
Jest to jeden z najsłynniejszych wersów Friedricha Hölderlina, jeden z pierwszych hymnów Patmos, nad którymi poeta pracował zimą 1802 r. na zlecenie landgrafa Fryderyka V z Homburga. Jak przypuszczalnie przydarzyło się to wielu, z tym wersetem zetknąłem się czytając tekst Martina Heideggera pt.,,Kwestia techniki" z 1953 roku, który z kolei filozof wykorzystał niemal jako początek ostatniej części refleksji nad potrzebą zrozumienia istoty techniki.
Ale dlaczego zaczynam od tego miejsca, od wiersza poety, którym posłużył się filozof, abym mógł omówić twórczość Marco Angeliniego?
Pierwszym powodem jest to, że Patmos, nazwa greckiej wyspy, od której pochodzi tytuł hymnu, jest miejscem, w którym ewangelista Jan napisał Apokalipsę. Wczytając się w Hölderlina nieuchronnie myślałem o tym, jak bliskie są nam te słowa, miejsce oraz powody, które go zainspirowały. Także w jaki sposób poczucie nadziei, jakie czerpał z niego Heidegger w odniesieniu do techniki, było oczywiście możliwe, abyśmy mogli prześledzić je z powrotem w technologii naszej teraźniejszości.
Cała twórczość Angeliniego jest istotnie związana z tymi elementami: z jednej strony świadomość osiągnięcia granicy, w chwili tuż przed katastrofą, a z drugiej, w jaki sposób technika może być zbawieniem i wreszcie, nie mniej ważne, ale dokładnie idąc za myślą Heideggera, jak bardzo sztuka może być drogą do osiągnięcia tego samego zbawienia.
Nawet jeśli ten początek jawi się, przynajmniej częściowo, jako poetycka nierównowaga, intencja jest w rzeczywistości bardzo racjonalna. W tym sensie podąża za obrazową konstrukcją Angeliniego. Jego obrazy są w rzeczywistości rejestracją niezbędnej komplementarności analogu, w którym jesteśmy i kim jesteśmy, z tymi równie fizycznymi elementami, które wywodzą się z nauki i pokrewnej technologii, które nadają kształt ewolucji cyfrowej. Malarstwo i ogniwa fotowoltaiczne łączą się na płótnie, budując wizualną i wymowną strukturę, która jest jedyną w swoim rodzaju. Przede wszystkim wymaga od nas, od naszego spojrzenia, ciągłości między jednym a drugim, deklarując konieczność nowej harmonii pomiędzy naturą i technologią.
Teoria trzynastu obrazów, która rozwija się na naszych oczach, definiuje zatem mentalną podróż podyktowaną logiką równie przekonującą, co zniewalającą. Geometryczne kształty obejmują i regulują panele fotowoltaiczne, znajdując z jednej strony „podstawę mitologiczną” [1] w malarstwie abstrakcyjnym XX wieku, w konsekwencji czyniąc je „podstawą mitologiczną” technologia stała się spójną częścią narracji. Ale naprawdę interesujące i ważne jest to, że ta formalizacja i korzenie, jakie odnajduje w historii, jak również w naszej teraźniejszości, nieuchronnie pchają ku przyszłości na podwójnej płaszczyźnie wyobraźni i etyki. Jeśli pierwsza, wyobrażeniowa, jest instynktownie osiągalna przez zwykłe założenie o pierwotnej i nieuniknionej roli sztuki; druga, etyczna, zasługuje na głębszą refleksję, która pomoże nam przyjąć rolę sztuki dzisiejszej, aby jutro się urzeczywistniać natychmiast i nieprzerwanie.
W związku z tym możemy z całą pewnością powiedzieć, że sposób, w jaki sztuka odgrywa decydującą rolę w naszym życiu, polega na ugruntowaniu się w publicznej, zbiorowej czasoprzestrzeni jako paradygmacie, który pełni nieodwołalną funkcję śledzenia znaczenia poprzez wrażliwość i zmysłowość. Oczywiście jest to warunek, stan, który zawsze należał do sztuki. Jego obecna specyfika, w przeciwieństwie do wczoraj, polega na tym, że jest aktywowana w przestrzeni publicznej poprzez warunek etyczny, a nie estetyczny. Realizuje się to poprzez estetyczne, zmysłowe dawanie, które ma nieodwołalny cel etyczny.
Ratowanie się poprzez sztukę oznacza rozpoznanie ich w samej jej konstytucji i odsłonięcie się w przestrzeni publicznej, funkcję wzorcowego paradygmatu, narzędzia służącego do nadania sensu codzienności.
W pracy Marco Angeliniego to napięcie etyczne jest stałe. Powiedziałbym, że to jego zaangażowanie w świat działa poprzez sprzężenie elementów, które, jeśli mają oczywiste oddziaływanie wizualne, konstytuują się w istocie paradygmatycznego wskazania wzajemnego zdarzenia.
Zbawienie, które Angelini wskazuje nam jako możliwe, jest właśnie w tej wzajemności, w wykazaniu konieczności, która jest w niej zawarta. Światło barw, geometryczne rozpiętości, ale także te obszary, w których kolor skupia się w organiczne epizody, odnajdują w kontrapunkcie czerni światłoczułych sztucznych powierzchni, faktyczne dopełnienie, egzemplifikację naszego własnego procesu ewolucyjnego.
Przeciwieństwa odnajdują równowagę i syntezę na powierzchni obrazu, tonując te same problematyczne przesłanki, od których wyszły. Dlatego jest to przede wszystkim praca osądzająca, która oddziela i wartościuje wykorzystane elementy w ich ciągłym użytkowaniu.
Przypomina mi się w tym względzie końcowe zdanie dzieła Michela Foucaulta ,,Czym jest Oświecenie?" [2] z 1984 roku, być może ostatniego przed jego śmiercią. Jak wiadomo, tekst francuskiego filozofa został zainspirowany utworem Immanuela Kanta z 1784 r., również zatytułowanym ,,Was ist Aufklärung? ", który kończył się następującymi słowami: ,,Nie wiem, czy należy dziś powiedzieć, że praca krytyczna nadal implikuje wiarę w Oświecenie; Wierzę, że zawsze wiąże się to z pracą nad naszymi granicami, czyli cierpliwą pracą, która nadaje kształt niecierpliwości wolności”.
Jak wiadomo Foucaultowi, wolność jest ontologicznym warunkiem etyki i jednocześnie ta ostatnia jest odbiciem formy, jaką przybiera wolność. Zawsze myślałem, że w tym nierozerwalnym związku między etyką a wolnością jest wiele znaczenia, a także roli, jaką sztuka przyjęła na siebie. Dziś znajduje dalsze uzasadnienie w dążeniu do zbawienia.
[1] R. Gavarro, Sztuka bez sztuki - Zmiany w rzeczywistości analogowo-cyfrowej, Maretti Editore, 2020
[2] M. Foucault, Estetyka istnienia, etyka, polityka – Archivio Foucault 3, Feltrinelli, 1998
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The search for salvation as a commitment
by Raffaele Gavarro
"Wherein lies the danger, grows also the saving power."
It is one of Friedrich Hölderlin’s most famous rhymes, one of the first in the hymn of Patmos which the poet had been working on in the winter of 1802 under the command of Landgrave Prinz Friedrich von Homburg. How it happened to many, I came across this verse while reading a text by Martin Heidegger, The Question Concerning Technology of 1953, which the philosopher almost used as an incipit for the last part of his need to reflect on the understandings of the essence of technology.
But why start from here, the verse of a poet alternately used by a philosopher, in favor of the works of Marco Angelini?
The first reason is that Patmos, the name of the Greek Island gives the title to the hymn, is the place where the evangelist Giovanni wrote his Apocalypse. As I read Hölderlin, I was aware and inevitably thought that the words, the place and the reasons that inspired him were somehow next to us; but also, that the feeling of hope that Heidegger drew from it, about technique, was for us, of course, possible to bring it back to the technique of our present.
All of Angelini's work is substantially linked to these elements: on the one hand, the awareness of having reached a border, at a moment just before the catastrophe, and on the other hand how technology can be lifesaving; last but not least, and right after Heidegger’s thought, how much art can be the means to achieve the same salvation.
Although this startup may appear, at least in part, as a poetic imbalance, the intention is for the truth how ever rational, and it follows Angelini’s pictorial framework. His paintings are in fact a completion check of the necessary complementarity of the analogic in which we are, and that we are, with those equally physical elements derive instead from science and its related technology, which give currently shape to the digital evolution. Paint and photovoltaic cells combine on the canvas building a visual structure and a meaning claimed as unique, but above all it claims through us, through our eyes, a continuity between one and the other, declaring the need for a new harmony between nature and technology.
The theory of the thirteen Angelini’s works that unfold before our eyes defines such a mental journey dictated by a logic as tight as it is resounding. The geometric forms incorporate and regulate the photovoltaic boxes, finding on the one hand a “mythological foundation” in the abstract painting of the 20th century, with the consequence of rendering a moreover “mythological foundation” the technology already been consistent narration. But what is really interesting and important is this formalization rooted in history as well as in our present inevitably pushes towards the future through a double imaginative and ethical project. If the first, the creative, is instinctively accessible to us by the usual assumption of the primary and inevitable role of art; the second, ethics, deserte a deeper reflection that helps us take on the role of today’s art that is immediately and continuously tomorrow.
So, then we can affirm with rather certainty that the way in which art assumes a decisive role in our lives is to diffuse itself in the public space-time as a paradigm which has an unchangeable function: To trace the overall meaning through the sensitive, the bodily. Obviously, this is a condition, a state that has always been art. But its current specificity, if not yesterday, is to activate in the public space-time through an ethical bodily condition rather than one is aesthetics. Or rather, it is implemented aesthetically, a sensory gift, which has an unchangeable ethical target.
To save through art is to recognize in it, in its constitution and its exhibition in the public space-time, the function of an exemplary paradigm, a device to be used to give meaning to everyday life.
In the work of Marco Angelini, this ethical tension is constant, I would say that it is his commitment to the world, which operates through the combination of elements which, if they have an obvious visual impact, they are constituted under the constituent of a paradigmatic suggestion of reciprocal occurrence.
The salvation that Angelini tells us is likely is precisely in this reciprocity, in the demonstration of the necessity that is implicit. The light of colors, the geometrical drafts, but also these zones in which the color is abandoned in biological episodes, find in the counter sound of the photosensitive artificial surfaces’ black, the complement in concrete, the exemplification of our same evolutive process.
Opposites find balance and synthesis on the artworks’ surface, pacifying those same problematic premises from which they had started. It is therefore first of all a critical work, which separates and evaluates the elements at stake before returning them continuously.
So, then again I am reminded of the concluding sentence of a text by Michel Foucault, What is the Enlightenment? of 1984, perhaps the last one made before his death. As is well known, the text of the French philosopher was inspired by a text by Immanuel Kant of 1784, similarly entitled Was ist Aufklärung? which ended this way: “I do not know whether it must be said today that the critical task still entails faith in the Enlightenment; I continue to think that this task requires working on our limits, that is, a patient industry gives shape to the impatience of freedom.”
As it is known for Foucault, freedom is an ontological condition of ethics and at the same time this latter is the reflected form freedom may assume. I have always thought that in this indissoluble link between ethics and freedom there is much of the meaning, as well as of the role, that art has taken on itself, and that today it finds further reasons in the commitment to search for salvation.
Traduzione dall’italiano di Romina Fucà
[1] R. Gavarro, L’arte senza l’arte – Mutamenti nella realtà analogicodigitale, Maretti Editore, 2020
[2] M. Foucault, Estetica dell’esistenza, etica, politica – Archivio Foucault 3, Feltrinelli, 1998
[1] R. Gavarro, L’arte senza l’arte – Mutamenti nella realtà analogicodigitale, Maretti Editore, 2020
[2] M. Foucault, Estetica dell’esistenza, etica, politica – Archivio Foucault 3, Feltrinelli, 1998
[3] R. Gavarro, L’arte senza l’arte – Mutamenti nella realtà analogicodigitale, Maretti Editore, 2020.
[4] M. Foucault, Estetica dell’esistenza, etica, politica-Archivio Foucault 3, Feltrinell, 1998.