Lento è buono!
«Pierre Bonnard fu il pittore che tradusse in maniera straordinaria l’interesse degli Impressionisti per l’atmosfera in una preoccupazione per la memoria che ancora oggi pervade molta pittura figurativa. Nei suoi dipinti tardi, dagli anni Dieci fino alla sua morte avvenuta nel 1947, Bonnard sceglieva momenti fuggevoli della sua esperienza personale e rimuginava a lungo sul loro potenziale, arricchendo progressivamente i colori fin quando essi non diventavano dipinti che rappresentavano l’intera durata della sua vita. “Lento è buono”: così i pittori hanno interpretato il lavoro di Bonnard e, in quanto giustificazione per il protrarsi delle loro realizzazioni, la massima è diventata tanto più attraente quanto più il ritmo degli altri media basati sulle immagini si è accelerato» (Da Julian Bell, Che cos’è la pittura?, Einaudi, 2018).
Pierre Bonnard dipinse dunque l’aria, l’eterno ritorno del pennello che sfiora la tela come gesto ossessivo che consuma il tempo, che lo combatte, che torna costantemente ad ingannarlo. Analogamente a Bonnard Angelini è ossessionato dal tempo, dal quotidiano, anche dal più fugace attimo, che contribuisce a raccontare la storia di oggetti-feticcio, proprio come accadde alla vasca di Pierre. Che cos’è la pittura se non l’illusione di rendere eterno un attimo intrappolandolo nel colore? L’arte tutta è un bell’inganno, il più bello di tutti, che si esplica massimamente nel “vecchio mostro sacro da distruggere”, la pittura appunto: non esiste niente di più ossessivo, di magicamente ripetitivo e reiterato dell’atto del dipingere, dipingere è un’urgenza, un monito, un efficace metodo per ingannare il tempo, necessario all’artista tanto quanto allo spettatore. Quest’ultima immagine con facilità ci richiama alla mente una scena del capolavoro del cineasta svedese Ingmar Bergman, Il settimo sigillo, nella quale lo scudiero Jöns dialoga con un pittore:
- Che cosa dipingi?
- La danza della morte
- E quella è la morte?
– Si, che prima o poi danza con tutti
- Che argomento triste hai scelto…
- Voglio ricordare alla gente che tutti quanti dobbiamo morire
- Non servirà a rallegrarla…
- E chi ha detto che ho intenzione di rallegrare la gente? Che guardino e piangano
- Aaah, invece di guardare chiuderanno gli occhi…
- Io ti dico che li apriranno…Un teschio, spesso interessa molto di più di una donna nuda
- Se li spaventi però…
- …Li fai pensare
- E se pensano...
- Si spaventano ancora di più
Il pittore si trova dunque a vivere la perenne dicotomia tra il dipingere una macabra realtà e al tempo stesso tentare d’ingannarla, di fermarla fissandola sulla tela. Il gesto lento, ripetuto, ossessivamente reiterato, aiuta a contrastare, seppur idealmente, il processo che consuma l’esistenza, il senechiano conto alla rovescia verso la morte. Ognuno di noi vive come Antonius Block, il cavaliere che gioca a scacchi la sua partita con la morte: l’arte come pittura ci supporta e ci guida, ferisce con la verità, lenisce con il sogno.
Giuditta Elettra Lavinia Nidiaci
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Marco Angelini struttura un sistema di passaggi e paesaggi identitari che si risolvono in materie e sembianze attraverso un linguaggio che persegue un apparente ordine interiore. Sono paesaggi che contengono paesaggi, che si palesano mano a mano che li si percorre e si fanno animatamente processi determinati dal tempo e dal movimento, in una condizione di trasformazione incessante. Sono paesaggi di rivelazione dove, sempre o solo per un attimo, ognuno può iniziare un percorso di riconoscimento verso un infinitamente oltre il proprio essere come individuo, approdando in una sponda scoscesa ed inedita. [...]
Nelle tre opere, Senza Titolo, Diade e Dicotomia in giallo, l’artista non attiva una memoria passiva ma, attraverso un dispositivo simile a quello del test di Rorschach, fa emergere una memoria che costruisce, seleziona, trasforma, che apre la continuità del futuro (cit. U. Galimberti); ogni immagine innesca, così, l’insieme delle diverse memorie, semantica, episodica, visiva, procedurale, verbale e autobiografica, che fa di noi un ricordo incarnato (cit. M. A. Brandimonte); fissa punti di riferimento spaziali e temporali che permettono di confrontare i ricordi, generare una memoria collettiva ed un’identità che diventa tale in base all’esperienza vissuta e ricordata.
Roberta Melasecca
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