“La scultura è fisicamente più comprensibile (di un dipinto, n.d.r.).
La scultura ha sempre quattro lati, quattro realtà per l’appunto.”
(Louise Nevelson, Atmospheres and Environments, New York 1980)
Con il ciclo di cinque opere dal titolo Objet trouvé, Marco Angelini completa e chiude il
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“La scultura è fisicamente più comprensibile (di un dipinto, n.d.r.).
La scultura ha sempre quattro lati, quattro realtà per l’appunto.”
(Louise Nevelson, Atmospheres and Environments, New York 1980)
Con il ciclo di cinque opere dal titolo Objet trouvé, Marco Angelini completa e chiude il cerchio del suo percorso di incursione progressiva nella terza dimensione, già sviluppato ampiamente nella produzione pittorica sempre condotta sul crinale tra forma e materia.
Per la prima volta, l’artista si misura nella realizzazione di vere e proprie sculture, che tuttavia non prescindono da quella “poetica degli oggetti” di sapore letterario (Gozzano, Montale, ma anche T.S. Eliot e Proust docent) che è la cifra distintiva di Angelini, per il quale – sulla scorta di un imprescindibile approccio scientifico scaturente dalla sua formazione sociologica – gli oggetti scartati dalla società (o anche dalla natura) acquisiscono una vita più duratura caricandosi di una loro propria dignità estetica.
Sulla scia della lezione dell’”oggettualismo”, che a partire dagli anni ’60 del secolo scorso vede nell’israeliano Haim Steinbach uno degli esponenti più significativi, Marco Angelini ci offre la possibilità di indagare la qualità estetica e sociale degli oggetti: l’uomo tende a ignorare un oggetto di uso comune, o appartenente al proprio ambito quotidiano, perché nella propria mente sa che quello si trova nel posto giusto, ma se cambia posizione, se viene cambiato l’ordine delle cose e l’oggetto non è più collocato nel proprio posto originario, allora esso cattura l’attenzione dell’essere umano. È questo che fa l’artista: interferisce sull’ordine degli oggetti, cerca altre soluzioni affinché questi siano parte di un nuovo ordine. Tale processo può essere definito di “ritualizzazione” dell’oggetto: ciò che sembra perdita, diventa foriero di valori salvifici.
Angelini, in questa serie di sculture, mette in comunione residui di manufatti in disuso (una vecchia lampadina, nastro adesivo appallottolato, spago, un tubo di gomma) con elementi naturali reperiti qua e là: un’amestista in roccia basaltica, un ramo levigato dalle onde del mare… e queste connessioni del tutto nuove e inedite – che ricordano in un caso un monolite, nell’altro la chioma al vento del Satiro Danzante – scatenano il cosiddetto “istante privilegiato”, uno stato di grazia in cui l’artista arriva a conoscere la realtà in modo più autentico: il linguaggio dell’arte, infatti, non toglie senso agli oggetti, ma anzi, attraverso l’assemblaggio, li riporta a nuova vita. Non c’è perdita ma risignificazione, non c’è morte ma rigenerazione.
L’evidenza plastica e il significato scultoreo delle installazioni degli Objet Trouvé sono enfatizzati dalla linearità essenziale delle forme e dall’utilizzo pressoché totale della monocromia (bianco, nero), che alcune minime incursioni di blu oltremare e giallo pallido non fanno che esaltare. In quest’ottica di disincantato minimalismo, tutto riceve premurosa attenzione e diventa dono, nella coscienza che ogni cosa va e viene, che ogni cosa perirà per rinascere a nuova vita.
Raffaella Salato
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