Per la mostra Restful Turmoil a Londra nel 2009 ho sentito la necessità di lavorare in verticale. Tutte le quattordici opere della serie condividono questo formato, come se la verticalità fosse una spinta interiore, una tensione che attraversa le superfici e le porta a crescere verso l’alto.
Ho scelto materiali di recupero – alluminio, cartone, fili di cocco, corde naturali e sintetiche, carta vetrata, frammenti di plastica – perché in essi riconosco fragilità e mutevolezza. Assemblati sulla tela o sul polistirolo, e attraversati dai pigmenti acrilici, questi elementi diventano forme astratte che talvolta sembrano sfiorare il figurativo. È un linguaggio fatto di scarti e residui, ma capace di raccontare la vita e i suoi passaggi, sempre in bilico tra precarietà e trasformazione.
Il gesto per me è fondamentale, ma non è mai casuale: i segni pittorici nascono da un’intenzionalità precisa, come se ogni frammento e ogni traccia dovessero trovare un posto necessario. Le superfici, lette una accanto all’altra, creano un ritmo visivo che scandisce l’intera serie.
Dopo anni di ricerca quasi esclusivamente su metallo e polistirolo, in queste tele ho sentito di dover aprire nuovi spazi. Sono comparsi bianchi più ampi, veri intervalli di respiro, e si sono intrecciate tecniche differenti – dripping, assemblage, stratificazioni – in un dialogo continuo tra pieno e vuoto, materia e segno.
Così Restful Turmoil è diventato per me un percorso di equilibrio instabile: una quiete attraversata dal disordine, o forse un disordine che cerca continuamente di trovare la propria quiete.
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